a cura dell’avv. Mattia Massa

Il tema dell’obbligatorietà o meno della vaccinazione contro il virus Sars CoV-2 e le sue implicazioni nell’ambiente lavorativo è da tempo tra quelli più discussi in dottrina, vuoi per la mancanza di una norma legislativa chiara e puntuale, vuoi per l’assenza di precedenti giurisprudenziali a cui poter fare richiamo vista la novità dell’argomento.

I quesiti sottoposti all’attenzione delle parti sociali, a livello giuslavoristico, sono sostanzialmente così riassumibili:

  • Quale il rapporto tra la libertà di scelta vaccinale riconosciuta dalla Costituzione (art. 32) e la posizione di garanzia del datore di lavoro prevista dall’art. 2087 c.c.?
  • Quali le conseguenze sul rapporto di lavoro per il personale che rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione?

Come detto l’assenza di un intervento legislativo che detti i termini e le modalità di risoluzione dei quesiti sopra citati ha lasciato molti imprenditori e lavoratori in balia dell’incertezza, sicuramente condizione più rischiosa di quella potenzialmente derivante dall’interpretazione di una norma anche criticabile, ma tant’è.

Come prevedibile la necessità di regolare i rapporti di lavoro al tempo della pandemia ha corso più rapidamente della macchina legislativa e, conseguentemente, le prime dispute tra lavoratori e datori di lavoro sul tema della vaccinazione sono approdate nelle aule giudiziali.

Tra i primi a pronunciarsi sul tema, è stato il Tribunale di Belluno (19.03.2021) interessato a decidere su di un ricorso proposto in via d’urgenza da alcuni infermieri e operatori sanitari di una casa di riposo contro la decisione della direzione aziendale RSA di porre in ferie forzate gli operatori stessi che si erano rifiutati di sottoporsi alla vaccinazione.

I lavoratori impugnavano giudizialmente la decisione aziendale in quanto ritenuta in contrasto con l’incomprimibile diritto alla libera scelta vaccinale prevista dalla Costituzione e sollevando il rischio che una volta terminate le ferie, si paventava il rischio di una sospensione dal lavoro senza retribuzione ovvero del licenziamento.

D’altro canto la Direzione della RSA sosteneva la legittimità della scelta datoriale, cosiddetta obbligata, in ottemperanza all’obbligo di garanzia di cui all’art. 2087 c.c. che pone in capo al datore di lavoro l’onere di garantire la salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, essendo particolarmente elevato il rischio di contagio proprio per la tipologia di mansione svolta dal personale interessato e dell’ambiente lavorativo.

Il Tribunale, nel pronunciare una delle prime decisioni sull’argomento a livello nazionale, ha respinto il ricorso proposto dai lavoratori, dichiarando legittimo il comportamento datoriale sui seguenti presupposti:

  • È notorio che il vaccino costituisce misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia;
  • I lavoratori ricorrenti, per il tipo di mansioni svolte, sono a stretto contatto con persone che accedono ai luoghi di lavoro e potenzialmente contagiosi, con conseguente aumento del rischio di contrarre il virus in assenza di vaccino;
  • Nel bilanciamento tra gli interessi delle parti, prevarrebbe nella situazione concreta l’interesse del datore di lavoro a rispettare rigorosamente la posizione di garanzia a lui imposta per legge, rispetto all’interesse del lavoratore ad usufruire delle ferie in altro periodo;
  • A livello procedurale, nessuna prova è stata fornita dai lavoratori sul “periculum in mora” ovverosia del rischio concreto ed attuale che il datore di lavoro sospendesse i lavoratori senza retribuzione o provvedesse a licenziamento.

Con la pronuncia in questione, benchè resa nell’ambito di un procedimento cautelare, è chiaro come il Tribunale pur senza entrare nel merito dell’obbligo della vaccinazione, abbia teso una mano ai datori di lavoro che si trovano costretti ad adottare decisioni criticabili a tutela dell’interesse alla salute dei dipendenti (e nel caso specifico dei ricoverati), in adempimento agli obblighi di garanzia sui medesimi gravanti.

Se il ragionamento giuridico adottato dal Tribunale di Belluno nel caso sottoposto alla sua attenzione, pure nella sua sinteticità, può dirsi condivisibile per la particolare tipologia di datore di lavoro e di lavoratori, certamente può dirsi che maggiori incertezze potrebbe porre il caso del rifiuto alla vaccinazione dei dipendenti di imprese di settori operanti all’esterno dal comparto sanitario o dell’assistenza agli anziani, nei quali la necessità di interpretare correttamente il bilanciamento tra obblighi di garanzia del datore di lavoro e libertà di scelta vaccinale del lavoratore pone sfide ancora più delicate.

L’augurio è che nell’attesa di nuove pronunce giurisprudenziali, il Legislatore si metta al passo con la realtà e fornisca i chiarimenti auspicati dal mondo del lavoro.