a cura dell’avv. Giuseppe Damini

Con l’emanazione ed entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile u.s. è iniziata la c.d. “Fase 2”, ossia un progressivo riavvio delle attività produttive e un primo allentamento delle misure restrittive per la generalità della popolazione presente sul territorio nazionale, al fine di contenere la diffusione pandemica del virus Sars-CoV-2 (e della conseguente patologia respiratoria Covid-19).

Nel breve periodo è prevedibile, quantomeno dal 18 maggio p.v., un riavvio differenziato delle attività commerciali e di retail, a partire da quelle che saranno ritenute meno rischiose perché più facilmente organizzabili garantendo la distanza di sicurezza o escludendo comunque il contatto fisico, e per quelle zone geografiche con una diffusività virologica contenuta entro parametri definiti e monitorati dall’I.S.S. e dall’Unità di Crisi.

In che modo organizzarsi, dunque, per la riapertura di un esercizio commerciale, che sia un negozio di vendita al dettaglio, un beauty center, un’agenzia viaggi, ecc.?

Ebbene, al fine della riapertura di un’attività commerciale sarà essenziale definire un protocollo interno che disciplini le nuove modalità di svolgimento dell’attività, applicando le misure di contenimento del rischio virologico che vanno dall’uso dispositivi di protezione individuale per i dipendenti (mascherine, gel igienizzanti, ecc.), all’informazione e alle misure di distanziamento per clientela e altri utenti esterni (i fornitori, gli addetti alle pulizie, ecc.), sino alla programmazione di sanificazione e pulizie.

Quali misure? Con quali tempistiche? In che modalità?

Sicuramente occorre superare l’idea dell’improvvisazione: il “fai da te” può sembrare la soluzione più economica, soprattutto in tempi di risorse scarse e dopo lunghe settimane di chiusura.
Tuttavia, da una parte è difficile orientarsi nel coacervo di provvedimenti normativi, raccomandazioni, decaloghi, linee guida di Enti e associazioni di categoria; d’altra parte, il rischio è quello di adottare protocolli standardizzati e troppo generici, non adeguati al caso concreto, addirittura non completamente implementati e rispettati perché incompatibili con l’attività, con la conseguente esposizione a sanzioni economiche e provvedimenti di chiusura per violazione delle misure anti-contagio.

Per contro, anche districarsi sul mercato fra le numerose non è semplice: dalle mail di offerte di dispositivi, agli gli strumenti di sanificazione, sino alle consulenze, in una corsa al ribasso che ricorda l’isteria per offrire/ottenere una consulenza privacy all’indomani dell’entrata in vigore del GDPR.

La soluzione migliore, dunque, è quella di affidarsi a dei professionisti: investire bene e correttamente le limitate risorse, consente di risparmiare su costi inutili (strumenti di protezione non richiesti, inutili, non certificati o non adattabili alla tipologia di attività commerciale) e soprattutto evitare di pagare onerose sanzioni pecuniarie per le violazioni accertate.

È notizia di questi giorni la chiusura sanzionatoria dei primi esercizi commerciali poiché il personale dipendente era sprovvisto di mascherine, ovvero perché non erano rispettati i divieti di assembramento.

Volendo usare una metafora, i protocolli “foglia di fico” non sono sufficienti a ripararci e prevenire: non garantiscono la effettiva riduzione del rischio contagio per nessuno (titolari, dipendenti, clienti) e, stante la loro approssimazione, non salvano dalle sanzioni.